Il territorio di Cepagatti era abitato sin dal neolitico, come dimostrano resti di palafitte rinvenuti negli anni ’50. L’identità storica più significativa di questa città però risiede nel sema ‘pagus’ del toponimo e nei resti archeologici presenti in superficie: ‘ocri oleari’ romani datati 50 anni prima di Cristo; frammenti di ‘opus reticulatum’; tratti di ‘horrea’ (cisterne-frumentari); un castello medievale a base quadrata i cui spigoli segnano i quattro punti cardinali; un piccolo Ercole bronzeo e resti di ville in contrada Cantò. Molto di più è nascosto sottoterra, nei ‘vicus’ trovati e risepolti sotto la Piazzetta di san Rocco. Alle spiegazioni popolari che vorrebbero il nome di Cepagatti collegato all’arco a lato della torre, ove chi passava era tenuto a pagare un pedaggio: “ci ha pagato”, oppure luogo ricco di fascine di rami secchi: “ceppaia”, fanno seguito forme più dotte del tipo: “captus pagus” (pagus conquistato), o anche “cis pagus Teatis (pagus al di qua di Chieti), e così via. Il termine latino “pagus” (it.: ‘pago’) indica l’ organizzazione d’origine sannitica che designa una «circoscrizione territoriale ‘rurale’ fuori dai confini della città». Se così è, val la pena partire da una data certa dell’antichità romana: il 4 aprile dell’anno 204 a.C., a Roma giunge una pietra conica nera (meteorite) dalla città di Pessinunte (Regione della Frigia, Anatolia centrale, oggi Turchia) e arrivano due nuove divinità: la dea Cibele e suo figlio-paredro Attis dal sangue del quale –narra la leggenda- a contatto con la terra sarebbero nati il ‘melograno’, il ‘mandorlo’ e la ‘viola mammola’. Orbene, se queste due antichissime divinità sono a contorno del termine ‘pagus’, l’etimologia del toponimo ‘Cepagatti’ potrebbe essere formata da “Cibelis-pagus-Attis” =’Pagus di Cibele e di Attis’. Però il culto per le due divinità importate dovette durare poco, perché la scelta dell’Imperatore Augusto d’inviare in Galilea, ai tempi di Gesù Cristo, centurioni e militi della ‘Coorte Italica’ nutriti ed istruiti militarmente nei pressi dei ‘pagus’ appenninici fece sì che, al loro rientro, portassero in patria il nuovo ‘verbo’ di Cristo. La radice di ‘pagus’ -infine- è l’eloquente lemma latino “pax”, donde: “pagano”=che vive serenamente nel ‘pagus’, a contatto con la natura e con gli dei; e “appagato”=che ha (ri)acquistato i diritti primordiali d’ogni essere umano, in primis la ‘libertà’. Alla caduta dell’Impero Romano (476 d.C.) anche Cepagatti fu invasa dai Longobardi che erano organizzati militarmente e socialmente in ‘fara’ (cfr. Contrada Faresi di Rapattoni Superiore). Nell’anno 1000 furono inviati da Cepagatti cavalieri alle Crociate per la liberazione del Santo Sepolcro dagli Ottomani. Agli inizi del ‘600 Cepagatti apparteneva alla cosiddetta Provincia dell’Abruzzo Citra (una delle 12 del Regno di Napoli). A metà secolo barocco l’insediamento contava più di trecento abitanti tra coloni ed artigiani chiamati dal Marchese di Cepagatti Alessandro Valignano nel 1632. Nell’anno di grazia 1648 Cepagatti viene elevata al rango di “Comune”. Oggi, ad oltre tre secoli e mezzo dalla nascita del comune, la popolazione di Cepagatti supera il numero di 10.000 unità.
BENI ARCHITETTONICI DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO
La torre Longobarda (Alex O Valignani) fu edificata dai Longobardi su una preesistente costruzione romana. Si vuole come torre di segnalazione allineata con l’altra sita, un tempo, in località Forca di Penne. E’ realizzata in laterizio, attualmente si alza su 4 livelli e si conclude con un camminamento perimetrale e vano centrale con tetto a quattro falde, realizzato nel corso del XX secolo. Fino a questa data il camminamento era a cielo aperto e protetto da merli. Sotto le fondazioni della Turris Alex nella piazza principale di Cepagatti, sono stati trovati ruderi che testimonierebbero la presenza di una cisterna romana. Recentemente, durante lavori di scavo nei pressi della torre, sono state scoperte grandi anfore olearie romane.
La Chiesa di San Rocco è legata al complesso monumentale della Torre Alex e fu costruita nel 1657 dai Valignani per ringraziamento della scampata pestilenza.
La Chiesa Parrocchiale di Santa Lucia è dedicata anche a San Rocco.La fondazione risale almeno al XVII secolo ma risulta impostata su una preesistenza rustica di epoca romana, della quale rimangono alcune suppellettili ceramiche da conserva e un pavimento in opera reticolata. Ha una facciata in stile neoclassico con frontone ricurvo ed orologio. Un’antica finestra monofora è stata recentemente sostituita con un rosone scolpito nella locale pietra della Maiella. Il campanile a cupola contiene delle campane in bronzo e oro provenienti dalle donazioni dei fedeli parrocchiani. L’interno è a navata unica che porta all’altare maggiore, dove è esposta un’importante tela raffigurante San Rocco, dipinta da Francesco De Benedictis nel 1830. Nel secondo dopoguerra anche la volta del presbiterio fu riaffrescata dal pittore, di origine napoletana Marucci.